1. Elementi di scenario internazionale

Il fenomeno delle Free Zone, ha registrato un trend in continua crescita, che non si è arrestato durante il periodo della globalizzazione, né nel corso della crisi finanziaria mondiale degli anni scorsi: nel 1997 il numero di ZES era pari a circa 845 in 93 Paesi, tale valore è salito nel 2018 a circa 5.400 e coinvolge 147 Paesi. (Unctad) Il 43% delle Free Zone nel mondo è concentrata in Asia e nella regione del Pacifico; a seguire le Americhe con il 24% ed ancora l’Europa Centro-Orientale e l’Asia Centrale che raggruppano il 19% del totale.
A livello di singoli Paesi spiccano la Cina ed il Vietnam con oltre 180 Free Zone. Nella stessa Cina occupano oltre 50 milioni di persone e generano 145 milioni di dollari di interscambio. L’impatto economico totale generato ammonta a oltre 68,4 milioni di lavoratori diretti e un valore aggiunto generato, derivante dagli scambi, di poco più di 850 miliardi di dollari. Secondo autorevoli stime, nelle Free Zone andrebbe a concentrarsi, con il passare del tempo, il 40% circa del totale dell’export di un Paese. Ad esempio nelle Free Zone dei Paesi dell’Area MENA si concentra oltre il 36% del totale esportato dall’area, nell’Africa Sub Sahariana tale dato arriva quasi al 50%.

In termini di occupati il dato è più variegato; gli occupati delle free zone rappresentano a livello mondiale lo 0,2% del totale. Nell’Area MENA il dato diventa dell’1,6%, nelle Americhe l’1,2% e nell’area Asiatica del 2,3%. È importante il tema della governance ed al riguardo esistono public zone (gestite da soggetti pubblici) e private zone (gestite da soggetti privati). Prendendo ad analisi un panel di 2.301 Free Zone, il 62% sono risultate gestite da privati (negli anni ’80 tale percentuale era del 25%); tuttavia esistono diversificazioni a seconda delle aree geografiche: ad esempio nelle Americhe il 73% è privato, nell’area MENA l’81% delle Zone ha natura pubblica.
In Europa esistono diversi casi di free zone a diversi livelli di operatività (più che altro si tratta di punti franchi individuati all’interno di aree portuali); se ne contano ad esempio 10 in Danimarca, 8 in Germania, 3 in Grecia, 5 in Spagna (tra cui la famosa ZAL-Zona ad Attività Logistica di Barcellona). Uno dei casi più famosi in Europa è rappresentato dalle 14 Free Zone della Polonia che hanno creato circa 296.000 nuovi posti di lavoro; esse coprono una superficie di oltre 18mila ettari e interessano 162 città e 232 Comuni del Paese. Katowice rappresenta la realtà più importante e vanta la presenza di oltre 260 aziende con investimenti pari a 5,5 miliardi di euro e 58.000 nuovi posti di lavoro.

In queste aree della Polonia è possibile ottenere importanti benefici in termini di esenzioni fiscali (su tasse analoghe alle nostre IRPEF e IRES) ed alcuni Comuni offrono anche ulteriori esenzioni per le imposte locali; gli spazi sono adeguati all’esercizio delle attività industriali e produttive, i prezzi d’affitto sono particolarmente favorevoli e si può contare sull’assistenza offerta dalle autorità locali interessate ad accogliere nuovi investitori. Le ZES in Polonia presentano anche gradi diversi di specializzazione: alcune sul settore automotive, altre su apparecchiature elettriche oppure editoria ed altro. Secondo gli ultimi dati disponibili, nelle ZES polacche sono localizzate circa 80 imprese Italiane di vari settori. Una delle Free Zone più importanti dell’area MENA è a ridosso del porto di Tanger Med in Marocco.
L’area logistico portuale e l’area “Franca” ospitano complessivamente circa 600 imprese di tutti i settori produttivi che realizzano un totale export di oltre 4 miliardi di euro. È una zona fondata su ingenti investimenti nel settore automotive ma anche di altri comparti manifatturieri; le imprese possono contare sulla presenza di uno dei porti più efficienti del Mediterraneo che movimenta circa 3 milioni di container l’anno e di aziende logistiche di livello internazionale che gestiscono i terminal dello scalo. Uno studio di SRM focalizzato sugli Emirati Arabi Uniti (EAU)  – Paese che pone le Free Zone tra i pilastri della propria economia – ha censito nelle 36 Free Zone esistenti circa 70.000 imprese che contribuiscono alla creazione di circa il 33% del PIL realizzato dal Paese. Il fatturato totale ammonterebbe a quasi 300 miliardi di dollari. Lo stesso studio censisce 330 imprese italiane presenti nelle Free Zone degli EAU che hanno un fatturato stimato in 1,4 miliardi di dollari.

2. Quadro di Sintesi delle ZES-Zone Economiche Speciali Italiane

Le ZES in Italia sono state istituite con Legge 3 agosto 2017 n. 123 (che ha convertito il Decreto Mezzogiorno 91/2017). Esse sono zone geograficamente delimitata e chiaramente identificata situata entro i confini dello stato costituita da aree adiacenti purché presentino nesso economico funzionale e che comprendano un’area portuale”. Solo le regioni del Mezzogiorno possono presentare proposta di Zes ubicate dove siano presenti aree portuali ed al riguardo ciascuna regione del Mezzogiorno può presentare proposta di Zes o al massimo due proposte ove siano presenti più aree portuali.

Le imprese che investono nelle Zes possono avere:

1) procedure semplificate per adempimenti burocratici e per l’accesso alle infrastrutture;

2) un credito di imposta in relazione agli investimenti effettuati. Le imprese devono però mantenere l’attività nella Zes per almeno 7 anni.

Viene messa in opera quindi una politica di sviluppo istituzionale che pone il “Porto al centro”, vale a dire insediamenti imprenditoriali, incentivi e risorse finanziarie tutte finalizzate a far crescere l’infrastruttura marittima ed il sistema di impresa che ruota intorno ad essa.
Il soggetto
per l’amministrazione della ZES è identificato nel comitato di indirizzo composto dal Presidente dell’Autorità portuale, da un rappresentante della Regione, da un rappresentante del consiglio dei Ministri e da un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il comitato si avvale del Segretario Generale dell’Autorità Portuale per le funzioni amministrative. La Legge 160/2019 ha stabilito che il Comitato venga presieduto da un Commissario straordinario di Governo. Esiste poi la figura del Segretario Generale del Porto che collabora con il comitato di indirizzo.

3. Requisiti di base della ZES previsti dalla Legge

Volendo sintetizzare i requisiti di base che hanno caratterizzato le ZES, essi sono:

  • Essere in una Regione del Mezzogiorno;
  • Comprendere almeno un’area portuale;
  • Prevedere incentivi in relazione alla natura incrementale degli investimenti delle imprese;
  • Avere un PSSPiano di Sviluppo Strategico;
  • Specificare (eventuali) accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari finanziari;
  • Avere il Soggetto per l’Amministrazione (Comitato di Indirizzo) identificato.

IL PSS-Piano di Sviluppo Strategico – nota di approfondimento

Il Piano di Sviluppo Strategico è il documento che deve essere predisposto da Regione ed Autorità di Sistema Portuale per proporre al Governo le strategie che la ZES perseguirà durante la sua attuazione; al momento tutte le ZES del Sud Italia hanno consegnato il documento alla Presidenza del Consiglio che al momento ha approvato Campania e Calabria. Il PSS è un documento poderoso (reperibile facilmente nei siti web ufficiali della regioni e contiene, in particolare:

  • l’identificazione delle aree individuate, con l’indicazione delle porzioni di territorio interessate;
  • l’elenco delle infrastrutture esistenti nella ZES e delle infrastrutture di collegamento tra le aree non territorialmente adiacenti;
  • un’analisi dell’impatto sociale ed economico atteso dall’istituzione della ZES;
  • la relazione illustrativa, corredata di dati ed elementi che identificano le tipologie di attività che si intendono promuovere all’interno della ZES, le attività di specializzazione territoriale che si prevede di rafforzare e che dimostrano la sussistenza di un nesso economico-funzionale con le aree portuali;
  • l’individuazione delle semplificazioni amministrative di propria competenza per la realizzazione degli investimenti che la Regione ha già adottato e si impegna ad adottare per le iniziative imprenditoriali localizzate nella ZES;
  • l’indicazione dei pareri e delle intese con gli Enti locali e con tutti gli Enti interessati con riguardo alle attività funzionali del piano strategico;
  • l’indicazione delle agevolazioni e delle incentivazioni che possono essere concesse dalla Regione;
  • l’elenco dei soggetti pubblici e privati consultati per la predisposizione del Piano e le modalità di consultazione adottate e i loro esiti;
  • il nominativo del rappresentante della Regione nel Comitato di indirizzo;
  • le modalità con cui la Regione assicura l’espletamento delle funzioni amministrative e di gestione degli interventi di competenza regionale previsti nella ZES.

I Benefici in sintesi invece sono:

  1. In primo luogo, sono previste procedure semplificate per adempimenti burocratici e per l’accesso alle infrastrutture.
  2. il credito di imposta in relazione agli investimenti effettuati nelle ZES. Il credito d’imposta concesso dallo Stato per le imprese per i beni acquistati entro il 31 dicembre 2020 è per ciascun progetto di max 50 milioni di euro.
  3. In aggiunta a tali incentivi, le Regioni ove la ZES è ubicata possono prevedere ulteriori benefici rivenienti dai fondi comunitari o da specifici provvedimenti (es. leggi regionali) che prevedono risorse per lo sviluppo delle imprese e/o delle infrastrutture.
  4. Possono essere previste facilitazioni creditizie attraverso accordi con banche;
  5. Può essere istituita la ZFDI (Zona Franca Doganale Interclusa).

Si segnala che le imprese devono mantenere l’attività nella ZES per almeno sette anni, mentre la durata della ZES è di sette anni prorogabile per altri sette.

4. Analisi dei punti di forza

Primo punto di forza è la presenza di una politica di sviluppo istituzionale che pone  il “Porto al centro”, vale a dire insediamenti imprenditoriali, incentivi e risorse finanziarie tutte finalizzate a far crescere l’infrastruttura marittima. Insieme al porto, inoltre, vi sono una serie di connessioni infrastrutturali di “contorno”, che garantiscono efficienza ed efficacia nel trasferimento delle merci, ad esempio binari ferroviari, aeroporto, sistema stradale. Nondimeno è importante la presenza nelle ZES di strutture di supporto che garantiscano una serie di servizi accessori alle imprese e necessari per il loro sviluppo, ad esempio centri di ricerca, uffici di servizi finanziari, centri di lavorazione logistica a valore aggiunto, strutture di grande distribuzione. Punto di forza è la scelta di favorire insediamenti manifatturieri altamente export-oriented cioè che facciano lavorare il porto per loro natura come ad esempio l’automotive nel caso della Free Zone del Marocco o l’agroalimentare nel caso della Suez Canal Zone. Il legame tra industria e logistica marittima è uno dei presupposti fondamentali per la nascita e la buona riuscita della ZES. Vincente dovrebbe essere, inoltre, la possibilità da parte delle Regioni di integrare gli incentivi, rendendoli così rivolti non solo alle attività tipiche di impresa come il “credito di imposta” ma rivolti anche a stimolare l’occupazione locale, la ricerca, l’innovazione, la formazione.

Da sottolineare, inoltre, che per evitare che l’impresa prenda incentivi e dopo qualche anno disinvesta, è previsto il vincolo per le aziende che devono insediarsi nella Zes (sette anni). La piena disponibilità degli enti pubblici a risolvere problematiche burocratiche è infine un presupposto necessario e qualificante per la Zes. Altro punto di forza è rappresentato dal poter presentare la ZES alle più importanti fiere internazionali e meeting sul tema del mare e della logistica portando all’attenzione di  investitori esteri e operatori l’esistenza di un porto in sinergia con la Zona. Ulteriore punto di forza è la presenza di una Governance della ZES molto snella (solo il Comitato di Indirizzo) e in linea con le strategie del porto e del Governo, il piano di sviluppo della ZES viene elaborato dagli organi direttivi del Porto insieme alla Regione per condividere strategie di crescita e utilizzo delle risorse disponibili con lo Stato.

5. Impatto dei porti e delle ZES sull’economia. Risultati e stime di alcune analisi

L’impatto delle Zone Economiche Speciali in un Paese può essere misurato da vari indicatori. Sicuramente il principale è quello relativo alle esportazioni, poiché Le ZES sono strumenti di sviluppo concepiti principalmente per attrarre in una determinata area investimenti di imprese export-oriented. Da elaborazioni di SRM (su dati World Bank) effettuate su un panel di ZES è emerso che, una volta a regime (cioè in un arco temporale tra i 7 ed i 10 anni), in media queste aree possono arrivare ad incrementare le esportazioni di un Paese fino ad un +4% complessivo annuo. Se applicassimo questa performance di crescita agli attuali volumi di export del nostro Mezzogiorno (le Zes si possono costituire infatti solo nel Sud, e ne sono previste 8), nell’arco di un decennio si potrebbe attivare un volume di export aggiuntivo pari a circa 18 miliardi di euro.Un altro indicatore rilevante dove le ZES hanno impatto è il traffico container. Un’analisi di SRM ha mostrato come su un panel di porti del Mediterraneo, dotati di Zone Economiche Speciali, tale traffico abbia avuto incrementi medi annui negli ultimi 10 anni dell’8,4% (si pensi che in Italia la crescita è stata nello stesso periodo pari a poco più dell’1-2%).
Anche in questo caso, se applicassimo questa percentuale di incremento ai porti meridionali, che movimentano il 40% del traffico container italiano pari a 4 milioni di Teus, in 10 anni potremmo aumentare il volume fino a 7,4 milioni di Teus. A questo incremento di traffico si assommerebbero anche i conseguenti impatti positivi relativi alla lavorazione logistica a valore aggiunto. Un altro indicatore rilevante dove le ZES hanno impatto è il traffico container. Un’analisi di SRM ha mostrato come su un panel di porti del Mediterraneo, dotati di Zone Economiche Speciali, tale traffico abbia avuto incrementi medi annui negli ultimi 10 anni dell’8,4% (si pensi che in Italia la crescita è stata nello stesso periodo pari a poco più dell’1-2%). Anche in questo caso, se applicassimo questa percentuale di incremento ai porti meridionali, che movimentano il 40% del traffico container italiano pari a 4 milioni di Teus, in 10 anni potremmo aumentare il volume fino a 7,4 milioni di Teus. A questo incremento di traffico si assommerebbero anche i conseguenti impatti positivi relativi alla lavorazione logistica a valore aggiunto.

Alessandro Panaro