Angri. Futuro e damnatio memoriae

Continua il viaggio letterario di Antonio Corvino, alla scoperta di luoghi, paesaggi e identità culturali. Politica meridionalista ha già ospitato altri report letterari di Corvino per offrire ai propri lettori una finestra su un mondo ricco di memorie che necessita di essere conosciuto, valorizzato socialmente e culturalmente. Questa volta, personaggio del racconto è il territorio di Angri e dei suoi dintorni, dove Antonio Corvino ha presentato recentemente il suo ultimo libro “Cammini a Sud” (Giannini editori) – con prefazione di Fulvia Ambrosino e postfazione di Francesco Saverio Coppola. L’evento è stato organizzato dagli Amici dell’Avanti dell’agro nocerino sarnese nell’ambito delle manifestazioni “News Cultura- L’Agro dialoga” coordinate da Giuseppe Fattoruso, che da anni promuove e organizza  iniziative culturali al servizio dello sviluppo. Il panel dei relatori è stato composto dal giornalista Agostino Ingenito e dal professore Francesco Saverio Coppola,  Segretario generale dell’Associazione internazionale Guido Dorso. Durante la presentazione sono stati letti dei brani del libro da alcuni ragazzi e ragazze sotto la direzione della professoressa Floriana D’Antonio. N.d.R.

Una premessa
C’è più bisogno di poesia che di economia, oggi a Sud, perché la gente possa recuperare la propria memoria, riscoprire i valori ancestrali che ancora vivificano le sue terre ed immaginare un futuro che ricomponga il suo tempo.
Angri é terra di antica memoria e di grande fertilità. Posta nel cuore dell’Agro Nocerino-Sarnese guarda da un lato al Vesuvio e dall’altro ai Monti Lattari. Le chiese ne rivelano l’energia spirituale mentre i castelli e le torri ne sottolineano il ruolo guida giocato sul territorio nel corso della storia, dai primordi di essa in avanti.
Murat intraprese grandi progetti di integrazione del territorio tra Napoli e la Costiera Amalfitana attraverso il vallo di Chiunzi.

Anche lo sviluppo industriale ha sperimentato nei tempi recenti più di qualche passo…
L’emarginazione  del Mezzogiorno in un contesto di globalizzazione centrata sul consumismo senza anima né regole che non siano quelle della speculazione, ha vanificato molte prospettive…
Recuperare la memoria antica e restituire ai territori del Sud la forza della loro energia oggi dispersa é l’obiettivo cui tendere.
Per questo c’è bisogno di poesia oggi a Sud, perché la gente possa recuperare la memoria, riscoprirei valori ancestrali ed immaginare un futuro che ricomponga il suo tempo.
Angri  è un comune dell’entroterra salernitano, circondato da monti, già ricco di produzioni agricole di pregio oltre che epicentro della trasformazione del pomodoro. Ma non vi è solo il pomodoro. Vi sono eccellenze anche nell’aerospazio: che il cosiddetto mercato le conservi.
Il paese lo conosco. Ci sono stato qualche anno  fa a parlare di Sud.
Presentammo “ Mezzogiorno in Progress”, un volume ponderoso in cui trenta economisti e trenta imprenditori si confrontavano sul futuro partendo dal presente e ragionando sui retaggi del passato.

Mi fece una buona impressione.
Il castello-palazzo rinascimentale dei Doria oggi è proprietà del comune, e può essere molto più che un guscio vuoto, mentre il centro storico, nonostante evidenti segni di degrado  è davvero notevole e saturo di memoria.
Il futuro del Sud è qui, mi venne  da pensare.
Ossia nelle aree interne che devono essere attrezzate ed organizzate per vivere e gestire il presente richiamando energie e risorse dell’intelligenza creativa e riscoprendo  la sostenibilità ambientale ripartendo dalla biodiversità.
Il futuro del Sud è certamente nelle mani delle ragazze e dei ragazzi meridionali ma la sua salvezza è nel Mediterraneo. Sud e Mediterraneo saranno anche  i paradigmi della riorganizzazione del mondo.

Angri?
Avete presente il Vesuvio che annuncia il golfo di Napoli?
Ecco, voltate le spalle  al Vesuvio ed  al Golfo e guardate davanti a voi.
Guardate lontano, sin dove si  innalzano i Monti Lattari.
Alle spalle del Vesuvio e del grande golfo di Napoli si stende la conca dell’Agro Angriese-Nocerino-Sarnese…
Adesso prendete il treno metropolitano che da Napoli conduce a Salerno e fermatevi ad Angri.
Percorrete il bel viale alberato con lecci maestosi e raggiungete il centro.
Sarete abbagliati da un palazzo principesco che qui chiamano il Castello, il Castello dei principi Doria che in verità erano Dogi in  quel di Genova, come mi racconta Antonio D’Ambrosio, Cavaliere-Ufficiale della Repubblica, custode della memoria di Angri, e che vennero a Napoli in cerca di nobiltà e ai quali  i d’Angiò  cedettero il Feudo di Angri con il castello conferendo loro anche il titolo di principi.
Godetevi l’imbrunire passeggiando nello splendido giardino un tempo pertinenza del castello e addentratevi per le vie  antiche attraversando  la sera ed inseguendo strane leggende o improbabili miracoli  o misteri che rivelano la commistione tra vivi e morti, tra cielo e terra, tra spiriti angelici ed esseri viventi, tra passato e futuro nello scorrere del tempo qui ad Angri.

Il borgo di Angri

Arrivate al quadrivio delle vie di mezzo, la parte più antica di Angri e fermatevi davanti alla piccola chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
É chiusa da molto tempo, ma un cartello affisso sul portone vi racconterà una storia che non sai se interpretare come una leggenda , un miracolo,  o come una commistione di vite  sospese nel tempo. Il cartello dice  che in una  teca di cristallo sono custoditi i sette dormienti.
Si tratta, secondo credenze giunte sino a noi non si sa da dove,  di sette soldati romani dell’epoca di Diocleziano i quali, divenuti cristiani, si addormentarono cadendo in un sonno profondo per sottrarsi ai massacri dell’imperatore.

Fatto é che risvegliatisi molti secoli dopo, con l’impero ormai finito ed avendo tentato di comprare il necessario per vivere pagando in sesterzi e parlando in latino, provocarono paura e ilarità nella gente che non sapeva  chi fossero  e da dove arrivassero quei sette soldati i quali pure, dal canto loro,  non  ci capivano niente e pensavano di essere impazziti o di essere capitati in un mondo di pazzi…
Così il buon dio per sistemare le cose, non potendo far tornare indietro il mondo, li assunse in cielo lasciando che i loro corpi si addormentassero  nuovamente e per sempre. E non si sa come e perché, i sette santi dormienti si ritrovarono, in effigie, nella chiesetta di San Cosma e Damiano nel cuore più antico di Angri dove tuttora giacciono  nella teca di cristallo.

Il Sud è pieno di storie e leggende che arrivano dalla memoria.
A Bari Vecchia, nel porto, sarebbe giunta da Myra, ai tempi della traslazione-trafugamento delle spoglie mortali di San Nicola, una colonna di porfido. Il portento sta nel fatto che quella vi giunse, spinta dai venti di levante, galleggiando sul mare.
Il Cavaliere-Ufficiale D’Ambrosio che mi aiuta a leggere il cartellone affisso sul portone della chiesa di San Cosna e Daminano, ormai consunto e mancante di sillabe e intere parole, non sa nemmeno lui da dove siano potuti arrivare questi dormienti e quando. “Nessuno lo sa” mi dice con un tono di  voce basso e lento come si conviene ad un mistero impossibile da svelare e tuttavia indiscutibile.
“Il fatto è che i sette dormienti dopo aver offerto  i sesterzi in pagamento ed aver parlato in latino provocando sconcerto se non proprio terrore e anche riso, tornarono a dormire nella teca di cristallo dove ancora adesso sono custoditi”… in attesa di un nuovo risveglio, penso tra me.

Non so se mi stava raccontando una leggenda o un  miracolo… un fatto storico o qualcosa di inventato… però il cartello è lì evidente, appeso al portone e pazienza se la chiesa é chiusa.
É comunque una bella storia, quella dei dormienti che, soprattutto con l’arrivo del buio, regala una  ragguardevole scarica di adrenalina.
Ciascuno di voi può andare a vedere con i propri occhi.
La storia dei dormienti di sicuro  conferma l’antico lignaggio  di Angri e magari potrà spingere qualcuno a capirci di più anche se il Cavaliere-Ufficiale della Repubblica Antonio D’Ambrosio,  è scettico ed ha ragione, secondo me.
La leggenda, il miracolo o il mistero si devono accettare senza porsi domande, raccomandava San Tommaso d’Aquino che di misteri e fede ne sapeva molto.
Se ci fossero risposte non sarebbero più leggende o miracoli o misteri.

Prima del viaggio nelle maraviglie notturne  di Angri trovate  il tempo per fare una prima visita alla  Collegiata di San Giovanni, una meravigliosa Chiesa che ha attraversato i secoli sin dal 1300 e che merita un approfondimento domani, di certo, data l’importanza e la ricchezza della Collegiata, insieme alla collinetta del tumulo etrusco, pure quello pieno di suggestioni e questioni irrisolte.
Infine prima che sia troppo tardi infilatevi in una trattoria, antica pure quella, a gustare una pasta e patate con provola o maccheroni alla genovese, che ovviamente è una ricetta napoletana.
Dopo cena  fatevi abbagliare ancora dai giochi di luce ed ombre del castello-palazzo dei Principi-Dogi Doria e andate a dormire o continuate a passeggiare tra le stradine storiche su cui si affacciano i palazzi patrizi del  tempo andato e che intanto si saranno riempite di ragazzi e ragazze in caccia della notte.

Colleggiata San Giovanni Battista (1300)

Di prima mattina avviatevi verso  il Chianello, se volete rendervi conto di cosa sia Angri e l’agro Angriese-Nocerino-Sarnese.
Cos’è il Chianello?
É il balcone di Angri da cui potete godervi la vista della città, l’intera visuale dell’agro che, dalle spalle di Napoli e del Vesuvio, si stende per tutta la conca che arriva ai Monti Lattari.
Il Valico di Chiunzi vi condurrà sulla costiera amalfitana  tra Ravello e Maiori.
Io mi sono lasciato convincere dallo sguardo pieno di amore per la sua terra di Floriana, Floriana D’Antonio, biologa ed ambientalista oltre che docente capace di trasfondere nelle suoi giovani allieve ed allievi la sua stessa passione per la cultura, per la storia della sua terra e le sue montagne. Si, proprio le montagne che danno vita alla maestosa catena dei Monti Lattari.

Il Chianello

Quei Monti che, a loro volta, danno vita alla Costiera Amalfitana ed al Golfo di Salerno da un lato ed alla Costiera Sorrentina ed al Golfo di Napoli dall’altro.
Eh sì, siamo proprio a ridosso dei monti scelti dagli dei dell’Olimpo come loro ulteriore dimora allorquando decisero di spingere greci e troiani a cercare nuove patrie e nuove terre da queste parti.
E dove gli dei dell’Olimpo sarebbeto potuti approdare se non sui monti che incorniciano i mari e le terre più  belle e piene d’incanto del Mediterraneo, le isole  delle Sirene, le terre  del sole, le falesie più ardite, i boschi più fitti, la macchia più lussureggiante,  le uniche coste che potevano far dimenticare la nostalgia per la Grecia?
Essi tracciarono addirittura dei sentieri per legare quelle terre.

Per la verità a tracciarli furono gli uomini che lì abitavano e che seguirono le tracce infuocate lasciate dagli dei dietro di loro allorquando si precipitarono dalle cime dei monti dove eran venuti a dimorare per salvare Odisseo dalla mortale malia delle Sirene…
Da lì scaturì tutto, compresa Partenope e Neapolis.
Ecco perché dovete salire sul Chianello. Accompagnato da Floriana e Corrado io ci sono salito.
Avrei ammirato dopo tutto il resto.
Non potevo privarmi della vista divina che da quel balcone  potevo godere, anche se non era più quella di cui si beavano gli dei antichi… molte cose sono cambiate nel frattempo e purtroppo in peggio, ma io potevo rimediare e, aiutato da un po’ di foschia,  potevo lasciar andare liberamente la mia fantasia.

Il Chianello è un’area-pianoro che l’Associazione dei Moscardini di Angri, voluta dall’ambientalista Modestino D’Antonio, papà di Floriana, ricordato con grande stima ed affetto in città, cura intendendo trasformarla in una riserva di ripopolamento faunistico nel contesto del parco dei Monti Lattari.
I moscardini, mi aveva raccontato  Floriana nel piccolo ma denso museo dei volatili e animali imbalsamati allestito nella biblioteca curata da Antonio D’Ambrosio, sono dei piccoli roditori  autoctoni. Da essi il nome dell’Associazione ed il progetto di ripopolamento faunistico.
Il Chianello si apre sulle pendici del Monte Cerreto. Un monte che si innalza sino ai 1316 metri… non raggiunge l’altezza del Molare o del picco di San Michele o dei Tre Calli, ma ci va vicino.

C’è anche un bel rifugio in pietra viva gestito dall’Associazione che lo mette a disposizione di scout e di quanti  ne facciano richiesta. Ci sono anche delle fontane, fondamentali per chi cammina sui monti e  che assicurano un refrigerio benvenuto soprattutto in estate.
Una scalinata in pietra conduce sul pianoro dal punto in cui finisce la stradina asfaltata.
L’aspetto allettante è che sulla scalinata si può salire con calma e magari con tutta la famiglia ed anche con gli amici a quattro zampe  e, giunti sul pianoro, potete godervi il panorama.
Se volete, da lì potete anche prendere i sentieri che vi conducono in alto o fermarvi a fare uno spuntino o ad intrattenervi con voi stessi in intima conversazione con la vostra anima o la vostra ragione o con entrambe, oppure soffermarvi davanti alla Croce  che invita a cantare il cantico delle creature di san Francesco.
Se guardate davanti a voi, però, potrete vedere l’altra faccia del Vesuvio ed il  suo gemello, il Monte Somma, cosa non da poco, ve lo assicuro, essendo andato io stesso in cerca dell’altra faccia del Vesuvio ed essendone rimasto stregato.

Da lì  potrete lasciar correre il vostro sguardo  fino ad abbracciare per intero la città di Angri e Nocera e Sarno con tutti gli altri paesi e paesini a far da cornice o da soggetto principale anche.
Insomma avete davanti a voi l’intera piana dell’agro Angriese-Nocerino-Sarnese che si stende dietro Napoli. É qualcosa di straordinario che spaventa anche un po’.
Più in là c’è Pompei, Ercolano… insomma potete vedere una conurbazione senza soluzione di continuità.
Fa paura, lo ammetto…  ma alzando gli occhi, finalmente, lo sguardo arriva ai Monti Lattari e il pensiero si rasserena.
L’antropizzazione è comunque davvero qualcosa che fa rabbrividire e costringe a porsi qualche domanda.

Per esempio che fine han fatto le fertili terre un tempo coltivate a pomodori san marzano?
Ad Angri vi è un’importante industria conserviera, ma sembra che i pomodori arrivino dal Tavoliere, dalla Daunia.
Le terre pregiate ricche di limoni e albicocche , pomodori al piennolo, sembrano ormai confinate lungo le pendici dei monti Lattari e del Vesuvio-Somma. Eppure questa terra, come tutto il Mezzogiorno soffre di emigrazione soprattutto dei ragazzi e delle ragazze e non si spiega tutto il  consumo di suolo prodotto in questi decenni… insomma c’è materia per economisti ed urbanisti, sociologi e intellettuali.
C’è per fortuna anche molta materia per poeti e anime pronte a inseguire la bellezza e la fantasia che dietro di essa si scatena.

Sul  poggio alla vostra sinistra guardando la conurbazione davanti a voi c’è il castello e accucciato dietro di esso il paese di Lettere.
Ma se orientate il vostro sguardo in fondo all’agro, o meglio alla conurbazione dell’agro angriese-nocerino-sarnese, dove si innalzano i Monti Lattari, vedrete due picchi che si incontrano in un valico: é il valico di Chiunzi. Se volete capire cosa sono i monti Lattari e darvi una spiegazione della passione degli antichi dei per essi, incamminatevi verso il valico di Chiunzi.
Gioacchino Murat si rese conto dell’incanto che abitava da quella parte e dispose che si aprisse una strada attraverso quel valico  che legasse la capitale del Regno alla Costiera amalfitana da questo lato.
Attraverserete paesaggi inimmaginabili, picchi che si inseguono, gole che si accavallano come onde di un placido mare infinito.
Pareti rocciose bianche illuminate dal sole che risplendono di una luce straordinaria esaltata dalle ombre che attraversano le pendici dei picchi che a quelli si contrappongono via via che il sole scende ad Occidente.

Passo di Chiunzi

Grumi di case, borghi e villaggi si susseguono inconsapevoli della loro grazia.
Chiese di campagna si alternano a santuari e a monasteri austeri quanto suggestivi.
E lungo le  pendici , si susseguono leggiadri terrazzamenti pieni di limoni.
Ecco,  le due montagne si dividono invitando a penetrare tra di esse.
Una stradina si incunea e prende a scendere verso la costiera.
Tramonti, Ravello, Cetara, Maiori, Minori, annunciano Amalfi…
E mentre torniamo, il mio pensiero va al tumulo/cumulo etrusco che campeggia nel giardino prospiciente il castello-palazzo dei Doria.
Una costruzione conica-piramidale, troncata in cima e realizzata in pietra a secco annuncia quello che con  ogni probabilità doveva essere il vano sepoltura di una tomba etrusca, mi aveva confidato Antonio d’Ambrosio.

Castello-palazzo Doria

Esso é incastonato in una montagnetta sovrastata da querce ed altri alberi maestosi e che si erge tutta intorno. Doveva, probabilmente, contenere altre stanze comunicanti con il primo.
Delle feritoie appaiate, lunghe più o meno un metro, costruite sempre in pietra a secco ed alte mezzo metro girano per intero il cumulo-tumulo. Sembra che esse fossero predisposte per consentire allo spirito del defunto di godere della luce del giorno e dello splendore della notte. Gli Etruschi credevano nell’immortalità dell’anima e la loro presenza ad Angri nobilita queste terre e suggerisce che bisognerà fare più di qualcosa per recuperare la memoria di questi luoghi .
All’indomani del crollo di Roma Angri era ridotto ad un insediamento agricolo più o meno trascurabile  e tuttavia essa conservava in sé la nobiltà dei popoli Osci e dei popoli Etruschi che da queste parti vivevano prima dell’arrivo dei Greci e dei Romani che li assorbirono. Dell’ottavo secolo é la torre annessa al castello-palazzo dei Doria che nel millecinquecento assunse l’attuale conformazione. Nel 1300, mi racconta Il cavaliere d’Ambrosio, Angri contava ormai un numero assai contenuto di fuochi o anime.

Come tutto il Sud, era stato da sempre luogo ambito dai popoli che giungevano dal Mediterraneo oltre che da settentrione nella stessa penisola italica e dalle pianure nordiche del continente.
Qui, ad Angri si combatté una cruenta battaglia tra i Goti e  l’esercito dell’impero Romano d’Oriente. Il re dei Goti venne sconfitto, ucciso ed il suo capo venne esibito come trofeo a sancire la supremazia della Roma d’Oriente. Era il 552 e da allora la storia di Angri si dipanò in parallelo con le alterne fortune di queste terre.
E certo furono fortune che con il tempo si tinsero di gloria. L’eco in alcuni casi è giunta sino ai nostri giorni. In altri casi a noi sono giunte solo rovine e le conseguenze nefaste degli abbandoni.

La Collegiata di San Giovanni Battista e la Certosa-Grangia di San Giacomo rappresentano bene le due facce della medaglia.
Per due ore sono rimasto con  i miei amici angriesi nella collegiata di San Giovanni.
Don Enzo, Abate della collegiata, ci ha raccontato le vicissitudini di un monumento caduto in stato di precarietà anch’esso ed oggi restituito allo splendore  del passato.

Crocifisso ligneo (1300)

Il polittico rinascimentale di scuola fiorentina che domina l’altare in fondo all’abside è certamente espressione sublime di una dignità ecclesiastica ma anche di una grandezza della comunità locale di assoluta valenza. Il coro ligneo e gli arredi testimoniano una ricchezza ed una potenza anch’esse di primordine. Il crocifisso ligneo del trecento, la statua lignea di San Giovanni Battista, patrono di Angri, anch’essa del 1300, il busto in argento dello stesso San Giovanni del 1700 e la statua lignea di Sant’Anna anch’essa del settecento  con l’elegante e variopinto drappeggio del mantello  che lascia con il fiato sospeso sono dal canto loro dei capolavori di assoluto valore. Come il grandioso organo.

Statua lignea di Sant’Anna con la Madonna (1700)

Sul fronte opposto la Certosa-Grangia di San Giacomo testimonia il triste declino della memoria nella città di Angri, una terra che ha bisogno di ritrovarla per intero, la memoria, per dare consistenza, prospettive alle sue potenzialità .
La Certosa-Grangia  di San Giacomo si trova a ridosso del luogo dell’epica battaglia tra l’esercito della nuova Roma d’Oriente ed i Goti, condiviso con il comune di Sant’Antonio Abate.
La struttura architettonica é di evidente  bellezza.
Il suo impianto deve risalire ai secoli che caratterizzarono il rinnovato fervore dopo le paure da fine del mondo dell’anno mille.
É ridotta ad un cumulo di macerie ma la sua bellezza traspare ancora con inusitata forza come se rivendicasse il diritto alla memoria almeno. Intorno dovevano esserci grandiosi possedimenti agrari coltivati da monaci prima e da mezzadri e coloni successivamente. Oggi i fichi selvatici ne hanno invaso la facciata esterna, elegante ed essenziale nelle  sue  linee che sanno di un medioevo in odore di rinascimento. Il chiostro interno è ridotto ad un cortile informe mentre l’intera fabbrica, laddove non ospiti povere abitazioni  e superfetazioni é un cumulo di macerie ed un ricettacolo di sporcizia immonda.

É davvero un mistero oltre che una colpa  la disattenzione che circonda questo monumento che certo non potrà essere restituito alla sua grandezza ma non può essere nemmeno anbandonato alla damnatio memoriae.
La damnatio memoriae, ahimè, è una costante che accompagna, per alcuni aspetti, la storia di Angri come la storia di molta parte del Sud.
E la damnatio memoriae si combina con i tentativi di appropriarsi di quel che sul territorio rimane, sottraendone il ritorno al godimento della  collettività.
Questa duplice damnatio l’ho intravista nel racconto di Don Enzo e l’ho avvertita nel dolore dei racconti di quanti mi hanno accompagnato alla scoperta di Angri, della sua Anima, della sua Storia, delle sue Montagne, delle sue Chiese, della  Certosa-Grangia, dei suoi vicoli e dei suoi palazzi. É la memoria che dovrà tornare a germogliare feconda perché Angri ritrovi le sue  origini etrusche ed osce, greche e romane, gote e bizantine sino a ritrovare l’orgoglio e la forza nascoste nella sua  dimensione più intima e profonda e per questo indistruttibile.

Post Scriptum
Il testo proposto è nato sulle suggestioni e le molte emozioni vissute in giro per Angri in compagnia  di meravigliose persone innamorate del loro territorio.
Mi ha emozionato il Chianello, mi ha emozionato la Collegiata di San Giovanni, mi ha emozionato il palazzo-guscio (ahimè) dei Doria, mi ha emozionato la Certosa-Grangia di San Giacomo, il tumulo etrusco, i vicoli… i Dormienti, la vista del Vesuvio e del Monte Somma, i Monti Lattari, il Valico di Chiunzi… così come mi ha spaventato l’enorme conurbazione nella conca dell’Agro Nicerino-Sarnese.
Insieme alle suggestioni del territorio, ho colto anche l’urgenza che venga ripristinata la memoria.
Per un economista che ha da sempre coltivato il culto della letteratura e della poesia, e che nel romanzo “Cammini a Sud” presentato ad Angri il 17 febbraio scorso, ha confessato che vi è più bisogno di poesia che di economia a Sud, quel che resta é il tremendo bisogno di  recuperare i sogni prima di ogni  cosa…e la memoria è il pozzo da cui nascono i sogni.

Certosa-Grangia di San Giacomo
Antonio Corvino