L’ultimo Rapporto del Fondo Monetario Internazionale rileva che, nel 2021, la ripresa dell’economia mondiale sarà più elevata di quanto previsto nel precedente Rapporto. Tali previsioni, però, attestano che, per l’Italia, la ripresa sarà più debole della media europea. Analogamente il Check-Up Mezzogiorno di Confindustria-Srm, (dicembre 2020), prevede una ripresa dell’economia meridionale, nel biennio successivo, inferiore di circa quattro volte a quella centro-settentrionale. Differenza notevole che allargherà il divario tra le due macro-aree. L’intervento pubblico, attraverso un uso esteso degli ammortizzatori sociali, e ristori alle attività più colpite e garanzie pubbliche per il finanziamento delle imprese, ha tenuto in piedi un’economia e un tessuto produttivo fragile nel Mezzogiorno. Ora si tratta di riavviare il motore dello sviluppo.

Il problema, oggi, a differenza di 70 anni fa, con il varo dell’intervento straordinario, è sulle capacità di progettare e spenderle nei tempi previsti, evitando di sprecarle in mille rivoli assistenziali e/o per catturare il consenso di opposizioni politiche, lobby e coalizioni d’interesse. Il successo delle prime due fasi dell’Intervento della Cassa per il Mezzogiorno, dedicate ad opere civili e industrializzazione, fu dovuto ad una classe dirigente virtuosa, ispiratasi all’impostazione dell’intervento pubblico di F. S. Nitti che lo concepiva come un promotore dello sviluppo, accompagnando e – talvolta – sostituendosi all’iniziativa privata, sempre però nel rispetto delle compatibilità economiche. Senza dimenticare il ruolo rilevante, svolto dalla Banca Mondiale, con la presenza di una sua delegazione, che rivendicò l’autonomia tecnica per la nascente Cassa, opponendosi ad una sua direzione politica.

Del resto, quello del ruolo ed efficacia della Pubblica Amministrazione nelle politiche di sviluppo è un problema storico per l’economia italiana.  A. Beneduce, già segretario di Nitti nel Governo Giolitti e poi tecnico fiduciario di Mussolini, per sfuggire a lentezze, inefficienza e inefficacia della P. A., creò Enti specifici rispetto agli obiettivi preposti, non rientranti nella categoria degli Enti pubblici ma sottoposti a controllo statale. Era, di fatto, un modo di aggirare il problema dell’efficienza ed efficacia della Pubblica Amministrazione, creando degli Enti retti con criteri di autonomia, caratterizzati da un rapporto con i dipendenti equiparato a quello del settore privato, con il merito come criterio guida delle carriere. Sullo stesso problema G. Dorso proponeva l’individuazione di un élite (cento uomini di ferro) per superare i limiti dello Stato burocratico-accentratore. Approcci che evidenziavano la sfiducia e la rinuncia a modificare organizzazione e cultura della Pubblica Amministrazione.

Nelle diverse bozze del PNRR, la riforma della P.A. è letta, prevalentemente, nei termini di digitalizzazione del suo funzionamento e incremento del personale e del suo capitale umano, senza toccare il problema dell’atteggiamento culturale nei confronti dei risultati. Per trovare proposte in tale direzione bisogna leggere quelle dell’AssoMiMe (Associazione tra le Società Italiane per Azioni) che richiama una maggiore attenzione ai risultati, oltre a proporre un modello di governance per l’attuazione del PNRR, in cui tale problematica è rinviata. Esperienze positive, nella direzione di responsabilizzare la P.A. rispetto ai risultati, esistono su scala internazionale. D. Osborne e T. Glaeser, in un loro libro del 1992, “Reinventing Government”, indicavano diversi esempi negli USA, in cui, attraverso appropriati incentivi, si stimolavano gli addetti alla P.A. a proporre modifiche migliorative del suo funzionamento.

Anche per la governance del PNRR non mancano suggerimenti, come quello di S. Cassese che, in un’intervista (La Repubblica, 20/12/2020), propone di “…censire i più capaci funzionari e costituire unità interne alle amministrazioni, centrali e periferiche, con quei funzionari, che agiranno come agenti del cambiamento e reti di innovazione”. I problemi del caso italiano derivano dalla debolezza dell’attuale governo di coalizione che impediscono di affidare ad un’unica istituzione la gestione del Piano e la sua attuazione, così come è avvenuto in Paesi con maggiore coesione governativa. Né aiuta la continua contrapposizione tra Stato e Regioni nella gestione della pandemia, così come nell’attuazione dei progetti ricadenti in ambiti regionali (S. Fabbrini, il Sole 24 Ore, 31/01/2021). Certo è che la riforma della P.A. – sia organizzativa sia culturale – è un problema non più rinviabile, particolarmente nel Mezzogiorno dove l’occupazione nel settore pubblico è stata storicamente letta come un ammortizzatore sociale, pena il fallimento nell’attuazione del PNRR, dato anche i tempi stringenti d’impegno e spesa delle risorse del Recovery Plan.

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Achille Flora

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