La Calabria, regione dell’Italia Meridionale, conta circa 1.950.000 abitanti; secondo le statistiche ufficiali, è una delle regioni più povere ed arretrate della nazione e in coda alle principali statistiche sulla qualità della vita. Il tessuto infrastrutturale risulta insufficiente per lo sviluppo, basti penare al sistema ferroviario, al sistema stradale e a quello aeroportuale. Il porto di Gioia Tauro, pur importante nelle statistiche della portualità mediterranea,  è una oasi nel deserto, in quanto mancando un tessuto imprenditoriale alle spalle e una alta capacità ferroviaria che lo possa valorizzare resta solo un porto di transhipment. Il tessuto imprenditoriale si presenta di piccole dimensioni, poco denso e a basso valore aggiunto. Pur essendo il Paese inserito nella supply chain internazionale, grazie a piccole medie imprese caratterizzate da creatività, design, e una elevata “artigianalità industriale” che portano il made in Italy ad avere straordinarie posizioni di preminenza, le regioni meridionali se ne avvantaggiano poco. Una delle pecche del Sud è proprio il sottodimensionamento imprenditoriale; la piccola dimensione media riduce la capacità di investimento, impedendo ogni evoluzione significativa al cambiare dei mercati. Nell’insieme, infatti, la lunga crisi economica pre e post pandemia, ha sviluppato una “selezione” darwiniana delle nostre imprese, mantenendo in vita solo quelle più strutturate dimensionalmente e patrimonialmente, quelle che in partenza erano le più forti. Tale selezione ha portato ad un processo di deindustrializzazione; dinamica calante generata dalla carenza di innovazione e di qualificazione del capitale umano, ossia dalla carenza di investimenti. Per meglio dire, risorse se ne stanziano parecchie, ma non riescono a far da volano a imprese piccole e sottocapitalizzate con maggiori difficoltà di accesso al credito per coprire i propri investimenti. Perlopiù le medie imprese al Sud si trovano nell’area di Napoli, Caserta, Brindisi e Catania; mentre sono, quasi assenti, in ampie zone come la Sicilia, la Sardegna, Foggia, Basilicata e la nostra Calabria.

Ha fatto passi avanti il sistema universitario, partito da zero, che vede ben tre università nel territorio, che stanno cambiando il tessuto socio-culturale, ma il progresso è lento, tenuto conto sia delle esigue risorse finanziarie a disposizione, delle difficoltà logistiche per la mobilità studentesca e l’assenza di un humus per la carenza di strutture imprenditoriali. La massiccia presenza di un’economia sommersa, frutto sia di una economia di sopravvivenza che della presenza di fenomeni di illegalità, rende non facilmente determinabile la reale ricchezza. Si tratta di un “teatro oscuro”, nel quale i diversi territori, fra loro poco connessi, recitano in diversa maniera un ruolo da protagonisti del sottosviluppi. La maggiore incidenza è data dal lavoro irregolare e dalla presenza elevata di attività criminali. Nonché da un’alta tendenza ad evadere tasse nazionali ed imposte locali che la fa salire sul podio più alto della classifica nazionale. In termini aggregati, il valore del sommerso in Calabria ammonterebbe a circa 7 miliardi di euro, a fronte dei 203 miliardi nell’economia italiana con una percentuale pari all’11% in termini relativi. Ciò, lo segnala il Ministero dell’Economia nella sua relazione sull’economia non osservata, un documento che stima il livello di evasione fiscale e contributiva a livello nazionale.

Per quanto predetto, si percepisce che si tratta di una crisi del sistema Calabria, che non è la conseguenza di un evento improvviso ed imprevedibile, ma l’accumulo di incrostazioni antiche e recenti nella storia del sottosviluppo di questa regione. Siamo, pertanto, di fronte ad un’area sottosviluppata, dove si registra una crescita economica costantemente inferiore a quella che si verifica nel complesso dell’economia nazionale: basso reddito medio pro-capite, alto livello di povertà, tecniche produttive arretrate, bassa produttività del lavoro, scarsa disponibilità di capitale.

In particolare, tenendo in considerazione gli studi condotti da molte fonti attendibili, quali: Ocse, Eurispes, Eurostat, Svimez, Bankitalia, CNEL, Camere di Commercio e Censis; molti sono gli aspetti, nell’ambito socioculturale, ambientale, produttivo, socio-assistenziale, economico, e via dicendo, che rendono arretrata questa fetta di Italia. Ne citerò di seguito qualcuno: scarsa conoscenza della maggior parte della classe dirigente, delle particolarità storico-strutturali della Calabria; mancanza di credibilità da parte dei cittadini nei confronti del sistema governativo; accentuata propensione ai favoritismi da parte della classe politica; apparato amministrativo poco formato per poter fronteggiare i continui cambiamenti dettati dal processo di globalizzazione dei mercati. Inoltre, la Calabria presenta il più alto livello di rischio sismico, frane, alluvioni e di avanzamento abrasivo delle coste, questo in quanto gli spazi pubblici si presentano dequalificati e poco valorizzati. In aggiunta, Il tessuto produttivo calabrese risulta sconnesso e frantumato, con una vitalità economica così debole da collocare la regione all’ultimo posto sia tra le regioni italiane che tra quelle del Mezzogiorno. Peraltro, il tasso di disoccupazione, supera oggi il 25%, contro il 10,8% della media UE, il 12,7% a livello nazionale ed il 21,7% a livello del Meridione; tale situazione diventa ancora più grave se si considera che l’indice di disoccupazione giovanile ha ormai superato la soglia del 65% registrando negli ultimi anni, l’incremento più elevato tra tutte le altre regioni italiane. Inoltre, altro indice allarmante, conseguentemente a quanto sopra riportato, è il tasso di natalità che scende sempre di più e sale l’indice di vecchiaia, dunque in Calabria è (anche) “povertà demografica”.

A corroborare quanto detto, è l’emigrazione delle persone istruite e più qualificate (in particolare giovani); la citata diventa sempre più elevata, con conseguente impoverimento culturale ed economico della regione.

 

Come possiamo notare dalle tabelle, molti calabresi si sono iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), proprio in virtù dell’alto tasso di disoccupazione che cresce, purtroppo, con il passare degli anni. Mi preme spendere due parole sulla nostra regione, sottosviluppata e arretrata; è riuscita a far scappare i migliori, i più coraggiosi, i più intelligenti e i più lavoratori. Più passa il tempo e più risulta stretta, scomoda, sporca, incivile e corrotta. Purtroppo per quanto si ama la propria famiglia e per quanto si è radicati, si decide di andare via. Ma perché nessuno ascolta gli animi e le parole dei figli della Calabria? Perché nessuno si rende conto della terribile desertificazione umana?

C’è un mare immenso, spiagge e panorami mozzafiato, la gente è di cuore, il cibo è imparagonabile, il caffè è sempre offerto assieme a quel sorriso che scalda l’anima; ma tutto questo non riesce a dare il lavoro, non dà la vita, non dà nulla, se non pochi giorni di vacanza all’anno. Un patrimonio naturale considerevole che produce un reddito modesto. Vige tanta rabbia e disperazione fra la gente per questa triste situazione, occorre intervenire, altrimenti  la Calabria con lo scorrere degli anni, con l’aggiunta del calo demografico, l’invecchiamento della popolazione rimarrà una sola terra amara.

Pur in presenza di tanti elementi negativi, un sistema povero ed in difficoltà deve reagire; non bisogna rimanere intrappolati nella cosiddetta “sindrome di Stoccolma”, pensando che la classe dominante fa del bene alla nostra terra. Perché l’inghippo è proprio qui, le persone e le imprese (fulcro dell’economia) sono state abbandonate al proprio destino, valorizzandole poco e niente. Le diverse classi dominanti che negli anni si sono successe, hanno portato avanti un “collaborazionismo meridionale”, evidenziando assenza e asservimento a strutture di potere, invece di tentare di risollevare il nostro Sud. Dunque, pur in presenza di significative risorse finanziarie, le nostre realtà imprenditoriali sono piccole e poco ricettive. Inoltre a corroborare cotanta negatività sono le infrastrutture e i trasporti meridionali, caratterizzati da dati carenti e sicurezza aleatoria. Basta pensare ai lavori iniziati quasi 60 anni fa sulla Salerno-Reggio Calabria mai terminati oppure la “metro fantasma” di via Mazzini a Cosenza.

Le domande sorgono spontanee, come bisogna reagire? Che cosa occorrerebbe fare?

In primo luogo: MAI MOLLARE!

Oggi nel complesso sono previste un’ingente mole di risorse, circa 210 miliardi di cui 82 miliardi destinati al Sud; in particolare il PNRR rappresenta nell’immediato la possibilità di rimodulare il quadro in essere, recuperando i gap presenti e rilanciando l’industria, le infrastrutture e i trasporti nel territorio. Solo attraverso un lavoro di squadra, però, si potrebbe far uscire la Calabria ed in generale il meridione dal coma etico e dalla gravissima crisi di sistema (produttiva, economico-sociale, democratica) nella quale si ritrova. Occorre cambiare passo immediatamente e soprattutto la politica deve dimostrare coerente capacità nell’utilizzo delle risorse e degli strumenti disponibili per migliorare gli indicatori economico-sociali che ci fanno possedere il malinconico primato del reddito Pil pro-capite più basso delle 278 regioni d’Europa.

Certamente il progetto di autonomia differenziata portata avanti dalle regioni del Nord rappresenta un ulteriore pericolo per le regioni più povere, come la Calabria, già danneggiata dal federalismo fiscale che sulla base della spesa storica ha spostato dal 2009 significative risorse dal territorio a favore di quelle del Nord mediante il meccanismo della spesa storica. Bisogna, dunque, cogliere le occasioni che si presentano per ricostruire un tessuto produttivo esistente, ma così limitato da esaltare le differenze, ancora oggi, rispetto al territorio nazionale. Concludo con un messaggio di speranza, i problemi ci sono è vero, però non bisogna fuggire dagli stessi, ma bisogna entrarci dentro ed usarli come fonte di liberazione ed occasione di opportunità.

IRENE DESIRÉ RUSSO

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