Dove vanno le Z.E.S ?

Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha incontrato a Bruxelles la responsabile della Concorrenza, Margrethe Vestager, per presentare la proposta italiana di istituire un’unica Zona economica speciale per l’intero Sud superando le attuali otto zone economiche speciali. Sembra che la Vestager abbia accolto favorevolmente la proposta secondo quando annunciato dal ministero.

La proposta di modifica ha generato consensi ma anche forti dissensi. Riportiamo diverse opinioni di tre economisti e meridionalisti (Pietro Massimo Busetta, Antonio Corvino e Francesco Saverio Coppola)

Pietro Massimo Busetta

Questo Governo con il provvedimento che vuole estendere le Zes a tutto il Mezzogiorno dimostra di non aver capito nulla della logica delle zone economiche speciali, che prevedono due condizioni di Stato minimo e due di vantaggio. Le prime riguardano il fatto che le realtà scelte siano esenti da criminalità organizzata poiché é evidente che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, da parte di imprenditori che possono scegliere di andare in qualunque parte dell’Europa e del mondo, per localizzare i propri investimenti avverrà soltanto nel caso in cui si garantisce che la criminalità è messa all’angolo. Per questo le aree sono limitate nella loro ampiezza perché debbono essere “Criminal Freedom”.

Il secondo aspetto riguarda il fatto che siano infrastrutturate adeguatamente per questo sono state pensate vicine ai porti per poter essere raggiunte facilmente. Ritenere di rendere attrattive le aree interne non collegate é una pia illusione.  Terza condizione che vi sia un costo del lavoro più contenuto cosa che è stata fatta già per tutto il Mezzogiorno con un costo enorme e totalmente inutile perché non fa altro che far rimanere sul mercato imprese che forse andrebbero chiuse. La quarta condizione è quella che riguarda la tassazione sugli utili eventuali delle imprese che si localizzeranno per un certo numero di anni. Anche questa condizione è impossibile che possa essere estesa a un’area così grande.

Per cui l’estensione delle Zes a tutto il Mezzogiorno non è altro che la sterilizzazione dello strumento che cominciava a funzionare, in particolare se sì rileva che la creazione delle zone logistiche semplificate, che dovrebbe favorire la competitività delle imprese del centro Nord va a competere con l’esigenza della delocalizzazione verso Sud. Anche lo strumento della semplificazione amministrativa necessaria per localizzare l’impresa in tempi brevi, estesa a tutto il Mezzogiorno diventerà impossibile essere attuata. Le Zes per tutto il Mezzogiorno sono un grande regalo ai propri elettori che così potranno avere dei vantaggi ma provocando la sterilizzazione dello strumento che non attrarrà nuove imprese.

 

Antonio Corvino

La notizia di un accordo del governo italiano con la commissaria europea Margareth Vestager su un’ipotesi di riorientamento delle risorse comunitarie destinate a sostenere gli investimenti nel Mezzogiorno su un’unica grande Zona Economica Speciale che include le otto regioni del Mezzogiorno italiano mi sembra ancora una volta un escamotage che lascerà la situazione al punto di partenza quanto a politiche di sviluppo consentendo tuttavia di sbloccare l’empasse dei rapporti comunitari. Certo bisognerà leggere il testo dell’eventuale accordo e soprattutto la sua traduzione in legge, posto che vi sono non pochi aspetti fa dirimere circa gli interventi, le competenze e gli obiettivi finali. Posto che lo sviluppo del Sud è legato alla creazione della seconda locomotiva del paese e che questa è inesorabilmente connessa alla realizzazione della piattaforma logistica per il Mediterraneo nel Mezzogiorno. Tutta roba che contrasta platealmente con le scelte di politica industriale, con quelle legate ai gangli nodali della logistica nazionale e, non ultima, con la scelta dell’autonomia differenziata che scardina, per molti aspetti, la visione unitaria del Paese.

In realtà è forte la sensazione che l’ennesimo coniglio sia uscito dal cilindro della politica nazionale e comunitaria, buono, ahimè, ad illudere e magari spostare più in là i problemi, dando un alibi all’Unione per chiudere qualche occhio su tempi e obiettivi del famoso PNRR ed al Paese l’illusione di muoversi, rompendo finalmente il lungo stallo. Indubbiamente non sarebbe male unificare l’azione a favore del Sud. Anzi. Da molto tempo le componenti più attente degli studiosi ed economisti indipendenti lo vanno sostenendo per spuntare le unghie predatorie dei cacicchi regionali ed evitare le trappole della moltiplicazione dei soggetti con l’implicita vanificazione dell’azione di sviluppo che per sua natura deve essere unitaria.

Il guaio è che una Zes unica grande come il Sud, se rimane finalizzata al sostegno degli investimenti produttivi in combinazione con la logistica, la finanza e la ricerca non ha senso e, ahimè, sarà un buco nell’acqua. Altra cosa (e, direi, fondamentale) è la creazione di un’Autorità nazionale per il Sud preposta alla perequazione infrastrutturale con il compito di centralizzare le fasi di progettazione e realizzazione delle opere orientando e guidando i processi di sviluppo sul territorio. In tale contesto potrebbero trovare rinnovato vigore le ZES puntuali che nascono per concentrare gli investimenti produttivi e non per disperderli in mille zone industriali vanificandone impatto e capacità di traino.

Ma sembra che ormai in Italia la capacità di programmare, fissando obiettivi, strumentazione e tempi sia stata definitivamente bandita. Da molti anni! Da quando la politica economica è stata appaltata a quanti hanno furbescamente teorizzato di privatizzazioni, competizione, merito, selezione e bla bla conseguenti. Da allora la Politica Economica è stata affidata al “mercato” che non esiste più da almeno cinquant’anni nell’accezione della scienza economica secondo la quale esiste un mercato se vi è concorrenza tra tutti i soggetti. Qui invece siamo al caravanserraglio dominato da un gotha di super ricchi speculatori (ormai idolatrato da quanti da quelli sono ridotti in schiavitù).

Ricordare le ripetute privatizzazioni del governo italiano, del tutto normalizzate ed ormai assunte come un fatto virtuoso da Fondo Monetario Internazionale, BCE et cetera, non sarebbe male. Il cosiddetto “mercato” oggi è soggiogato dalla speculazione dei potentati internazionali che sovrastano gli stati nazionali. Smith e Ricardo per non parlare di Keynes e Marx se la ridono amaramente nel loro regno nel al di là, magari in compagnia di Federico Caffè e JK Galbraith.

E dunque l’idea di un’unica Zes finirà con lasciare tutto immutato… Servirà a guadagnare tempo e a dare alibi a destra ed a manca recuperando un po’ di liquidità europea da spendere più o meno a casaccio. Com’è che diceva il giovane Tancredi, corso in soccorso di Garibaldi, al Principe di Salina? “Tutto deve cambiare se vogliamo che tutto, per noi, resti immutato!”

Francesco Saverio Coppola

La fiscalità di vantaggio è un tema che il Sud insegue da tempo per favorire l’insediamento delle imprese, la loro crescita e soprattutto l’attrazione di investimenti esteri. Un primo importante riconoscimento normativo nella Legge delega n.42/2009 (cosiddetto federalismo fiscale), che, all’art. 1, comma 1, ha previsto espressamente come obiettivo “lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese”. Possono essere previste speciali esenzioni, deduzioni ed agevolazioni in materia di imposte e tasse, a favore di territori e regioni svantaggiate, al fine di favorirne lo sviluppo. Bisogna tuttavia tener conto dei vincoli europei che condizionano l’autonomia impositiva delle Regioni e degli altri Enti locali.

L’Unione Europea ammette la possibilità di concedere, da parte degli Stati, aiuti economici (anche in forma di sgravi ed esenzioni) volti a favorire e sostenere lo sviluppo di determinate aree e regioni particolarmente svantaggiate, a condizione, però, che tali aiuti non alterino le condizioni complessive degli scambi intra-unione e dunque non pregiudichino la concorrenza e la libera circolazione di beni e servizi a livello europeo. Pertanto è stato necessario restringere le zone di intervento nel Sud di Italia definendo particolari regole di insediamento per un periodo in ogni caso transitorio. Sono così nate normativamente nel 2017 le Z.E.S in Italia, localizzate nelle regioni meno sviluppate e in transizione, in aree geograficamente delimitate e chiaramente identificate comprendenti almeno un’area portuale inserita nelle reti di trasporto trans-europeo così come definite dal regolamento (UE) n.1315/2013.

Le ZES potevano costituire una vera novità.  Alla prova dei fatti stiamo parlando di aree spesso frazionate, non ben infrastutturate, dotate di scarsi servizi e non ultimo di insufficienza di   competenze ecc. Sicuramente le future speranze di sviluppo di queste aree hanno in questi anni ingrassato i politici, le loro filiere clientelari e anche tanti esercizi di fantascienza letteraria.

Con questa proposta di modifica, tutta da comprendere e decodificare, si prende atto del fallimento della politica che non ha saputo interpretare il vero ruolo delle ZES, facendone le nuove Asi. Teoricamente diventa finanziabile e agevolabile qualsiasi attività che rispettando le condizioni di insediamento previste dalle ZES si può collocare anche in altri territori di una Regione, stabilendo un principio di flessibilità di allocazione territoriale.  Non è chiaro come sarà possibile finanziare infrastrutture così sparpagliate, né il massimale di finanza pubblica sostenibile, tenuto conto della situazione del debito pubblico italiano.

Sicuramente non sarà facile conciliare i nuovi obiettivi con le scelte regionali, sicuramente bisognerà porre mano alla legge istitutiva o reinterpretarla. Inoltre bisogna definire criteri autorizzativi specifici e vincolanti per insediamento di imprese in altre aree regionali, onde rispettare i principi europei. Sicuramente si pensa ad una cabina di regia nazionale che possa indirizzare finanziamenti o agevolazioni verso progetti di impresa meritevoli, pur mantenendo un vincolo territoriale.

Restano forti dubbi per le priorità e le modalità di gestione degli investimenti strategici per portualità e logistica sia di mobilità delle merci che di aree produttive connesse. La funzione delle ZES con queste proposte vengono completamente snaturate, ma bisogna pure prendere atto che dopo sei anni sono ancora inattive per percentuali significative. Le poche imprese insediate per lo più non sono in una filiera logistica, spesso sono ricollocazione di imprese già esistenti nel territorio che propongono nuovi piani di investimento.

Quello che é fallito é il modello manageriale, troppa amministrazione pubblica e poco spirito imprenditoriale. Non si possono affidare aree di attrazione investimenti soprattutto di carattere logistico e internazionale a scelte politiche regionali. La strategia di attrazione degli investimenti deve restare nazionale, pur dovendo garantire le regioni quelle condizioni di abitabilità imprenditoriale che invogliano imprese e imprenditori a insediarsi con una visione certa del futuro.

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