Il Sud ed il peccato originale della politica agricola europea

Un viaggio lungo nel mondo dell’agricoltura tra opinioni e visioni contrastanti, con l’obiettivo di pervenire a una visione condivisa che possa tracciare nuovi percorsi di sviluppo.

Con le riflessioni di Antonio Corvino la rivista Politica meridionalista inizia un viaggio nel mondo dell’agricoltura, in relazione anche alle recenti proteste che si sono levate dal ceto agricolo dell’intera Europa. L’articolo di Corvino non è una solo riflessione di natura economica e sociale, ma richiama anche il rapporto fra uomo e natura che lo circonda, il tema della bellezza e del paesaggio, con un richiamo implicito a alle Bucoliche e Georgiche di virgiliana memoria. In ogni caso temi complessi che pongono la necessità di rivedere modelli di sviluppo, di produzione, di riequilibrio delle filiere di valore sia in termini sociali che economici e di comportamenti umani. Nell’agricoltura esiste un passato, un presente e un futuro che devono essere coniugati sulla base di nuove e anche vecchie esigenze come la biodiversità, i rischi climatici, il rispetto dell’ambiente e non ultimo i volumi di produzione in relazione all’aumento della popolazione mondiale. La globalizzazione della produzione agricola oggi pone anche problematiche geopolitiche che non possono essere trascurate e che richiedono un nuovo ruolo degli organismi internazionali Interessati. (NdR)

1) Il Mezzogiorno e la biodiversità del Mediterraneo

La biodiversità è la caratteristica fondamentale del Mediterraneo.
Fondamentale, intrigante, affascinante, unica. Direi poetica.
Il bacino più ricco di biodiversità sul pianeta terra è appunto il bacino Mediterraneo.
Tre continenti si affacciano su di esso.
L’umanità intera da sempre anela ad esso. L’equilibrio planetario,  legato ai grandi polmoni dell’Amazzonia  e dell’Africa equatoriale, si esalta nel Mediterraneo e qui raggiunge la sua massima espressione.  
L’olivo ne definisce i confini, come dice Braudel, le bianche falesie ne scandiscono il ritmo, le coste  variegate ne fissano la bellezza, i mari  ne sanciscono l’impareggiabile fascino, mentre i monti e le valli che in esso si specchiano e si bagnano contrappuntano l’ineguagliabile dipanarsi dei territori ricchi di campagne  e  paesi, borghi e città, castelli e cattedrali, strade e approdi.
I filari dei vigneti ne disegnano pianure e colline, il verde degli agrumi, il giallo dei limoni, il caldo colore delle arance, il profumo dei bergamotti, danno vita ad un’impareggiabile tavolozza di tinte ed aromi che dialogano  con il caleidoscopio dei riflessi marini e si nutrono del vagabondo azzurro del cielo.
Sulle coste meridionali del Mediterraneo un’infinita varietà di frutta matura tra la primavera e l’autunno e sino all’inverno.
Dalle mandorle alle nespole, dalle fragole alle ciliegie, dalle pesche ai fichi, dalle angurie ai meloni, dalle innumerevoli specie di mele e  pere ai kaki, dai fichi d’india alle giuggiole, dalle susine gialle, bordò, color melanzana, oblunghe o tonde, piccole o grandi,  alle melecotogne, dai mandarini anche questi multiformi e variegati alle arance dalla formidabile gamma di sapori, forme  e tempi di maturazione, dalle more ai mirtilli ed ai lamponi, dalle noci ai pistacchi, dalle melegrane ai gelsi…

Il Paradiso terrestre creato da dio tra le rive del Tigri e dell’Eufrate ha trovato nellle terre a Sud del Mediterraneo il suo impareggiabile, lussureggiante giardino.
Il vento accarezza le campagne  aggirandosi leggiadro sul mare verde del grano, dell’avena e dell’orzo in primavera  e sul mare giallo d’estate, mentre il sole illumina come diademi, smeraldi, perle, rubini, i filari delle verdure che si dispongono lungo i campi con andamenti bizzarramente asimmetrici e con meravigliose dissonanze di piante, frutti e colori.
Laddove in estate prevalgono i colori eccentrici,  dal rosso al giallo, dal verde striato al viola, in inverno domina il bianco lucente  ed il verde cupo. Sono i bianchi cavolfiori ed i broccoli dal verde intenso con sfumature viola a  colorare le campagne tra i muretti a secco. Sono infinite le popolazioni di verdure invernali che fan festa negli ampi sesti che disegnano i campi dell’agricoltura familiare meridionale tra novembre e febbraio. I finocchi verdi sulla chioma filamentosa e candidi nel tubero dalle squame carnose custodito nel terreno, gli sponzali, teneri cipollotti dal fogliame garrulo e snello anch’essi verdi e bianchi, le cipolle e gli agli, le famiglie delle rape e le bietole, le cicorie dal carnoso cuore  custodito tra le folte foglie protese al cielo, i carciofi… la famiglia delle rape e dei cavolfiori sono di certo le perle più preziose e dell’orto invernale.

Messe a dimora in settembre le piccole piante disposte  come un bouquet in miniatura di minute foglie striate di bianco, verde smeraldo e grigio olivo, crescono sino a formare in gennaio e febbraio dei rigogliosi cespugli di grasse foglie lussureggianti disposte a cappuccio intorno al cuore della pianta che custodisce la bianca perla filigranata del cavolfiore che cresce tonda e  quieta intorno al forte gambo, disponendosi intorno ad esso con infiorescenze minute e compatte fino a formare un  mappamondo pieno di monti e valli, crateri e dirupi dal candido splendore che si fa strada tra le latifoglie carnose le quali si aprono gradualmente a   mostrarne la bellezza pura ed impareggiabile che il sole illumina, insieme a broccoli  rape, friarelli e l’intera famiglia  delle verdure, occhieggiando tra i rami dei secolari ulivi, disposti questi ultimi  lungo le traiettorie degli ampi sesti che cuciono i campi come le traiettorie di altrettanti preziosi diamanti.
In pieno inverno i campi coltivati dai contadini custodi della biodiversità mediterranea mostrano un aspetto gioioso  di formidabile impatto.

I grandi olivi con i rami oblunghi che si dipartono dal tronco contorto  a formare un ombrello leggiadro con le foglie che brillano di verde e di argento nell’aria frizzante si inseguono nel cielo azzurro e trasparente lasciando intravedere nello spazio tra un filare e l’altro la tela filigranata dei cavolfiori che rannicchiati tra le verdi foglie, materne come mani protettive, brillano nel loro biancore perlaceo tra le infinite specie di verdure  che ad essi si affiancano.
Il colpo d’occhio é di quelli mozzafiato che ti costringono a fermarti per ammirare quello spettacolo unico ormai in via di estinzione.

2) Biodiversità ed agricoltura familiare
É il miracolo dell’agricoltura familiare antica come il Mediterraneo e come il Mediterraneo custode di una  civiltà primigenia che non vuole morire e che ahimè è tristemente avviata verso la fine per far posto alle produzioni simmetriche e perfettamente allineate delle serre e delle produzioni intensive su campi sterminati e privi di olivi e di ogni altro albero.
L’agricoltura familiare da sempre ha presidiato la biodiversità della campagna mediterranea. I muretti a secco realizzati con le pietre del posto ne tracciavano i confini creando angoli ed anfratti per le piante spontanee, verdure e tuberi, e ripari per gli alberi da frutta allineati lungo il loro sviluppo. Al di qua  dei muretti a secco l’oliveto svettava meraviglioso e suadente lasciando spazio ai fichi ed ai mandorli e proteggendo sul terreno l’orto estivo e quello invernale.
Gli antichi, ultimi  custodi della vecchia agricoltura familiare ti guideranno verso il loro ricco e gioioso giardino perché tu possa  ammirare i bianchi   cavolfiori e le violacee  rose dei broccoli, le rape o i friarelli , le cicorie, i carciofi…che accanto ad essi  corrono ad inseguire i propri  filari.

Più in là i finocchi, le verze, le insalate, le bietole e dovunque tra i filari le preziose erbe  spontanee, le cicorielle selvatiche, il tarassaco, i germogli di papavero, le tante specie di rapacee selvatiche a comporre un popolo compatto e solidale che  cresce in uno con il resto del regno contadino senza interruzioni e salti che non siano quelli indicati e voluti dalla natura.
Così l’orto invernale assurge a simbolo della agricoltura familiare che dovrà tornare a custodire i campi, le colture e la biodiversità del Mediterraneo se l’Umanità vuol salvarsi.
Chi  ha avuto la fortuna di conoscere l’agricoltura familiare e magari ancora oggi gode   del privilegio di recarsi  di tanto in tanto nelle campagne ancora organizzate secondo tale modello grazie all’amore che tuttora anima gli ultimi messaggeri della terra non farà fatica ad immergersi in tanta poesia cogliendo  la infinita sapienza esperenziale che da essa trasuda.

I villaggi ed  i paesi dove si pratica l’agricoltura familiare alternata con la pesca sotto costa li identificano ancora oggi come i luoghi delle donne e degli uomini centenerai.
Nonostante la fatica che in passato era immane sia in terra che in mare, la gente viveva sana e felice sfiorando e spesso superando i cent’anni di vita.
Il cavolfiore bianco ed il broccolo verde contengono nei gambi delle sostanze  antiossidanti che accumulandosi nell’organismo umano ne potenziano le capacità immunitarie oltre che energetiche. Ma sono tutte le produzioni, quelle invernali e quelle estive a proteggere l’organismo umano così come l’olio extravergine di oliva e  la infinita gamma della frutta, ma anche delle erbe selvatiche e spontanee.
É la dieta mediterranea, ragazze e ragazzi,  signore e signori. Niente altro.

 

3) La crisi dell’Agricoltura Mediterranea.  Il peccato originale

Vi é un virus  che mina la biodiversità del Mediterraneo e compromette l’agricoltura a Sud da molto tempo. Si tratta di un terribile virus  che compromette la biodiversità del Mediterraneo e distrugge l’agricoltura meridionale. É il virus creato dal peccato originale della politica agricola europea. Un peccato che viene da lontano e che si colloca ad inizio anni ottanta del secolo scorso.
Allora venne varato il cosiddetto piano Mansholt per l’agricoltura, dal nome  del ministro olandese che lo promosse. Esso prevedeva aziende con superficie minima tra 80 e 150 ettari, un’agricoltura totalmente meccanizzata ed industrializzata e l’uso intensivo della chimica quale propellente delle coltivazioni della terra.
Contestualmente partirono gli aiuti all’agricoltura meridionale, caratterizzata da frammentazione e sistemi tradizionali, finalizzati all’espulsione della manodopera, all’accorpamento della proprietà ed alla marginalizzazione delle colture mediterranee, olio, vino, agrumi, ortaggi, pastorizia et cetera. Vennero addirittura riconosciuti premi per l’estirpazione di vigneti e delle altre colture pregiate  tradizionali mentre il contributo ad integrazione del valore del prodotto olivicolo favorì la speculazione che minò la tenuta della stessa olivicoltura meridionale sino alla sua completa emarginazione/ distruzione. É il caso della Xilella che ha divorato l’intera olivicoltura della Puglia centro-meridionale. 

Con il varo dei successivi piani di politica agricola europea l’agricoltura familiare venne definitivamente emarginata e con essa le buone pratiche, le colture da biodiversità ed iniziò la orrenda pratica della distruzione dei prodotti per sostenere il cosiddetto mercato consumistico assunto a nuovo sanguinario lieviatano dell’umanità.
Contestualmente iniziò anche la massiccia fase di esodo dalle campagne, di espatrio delle giovani generazioni e di desertificazione delle terre di mezzo a Sud  che qualcuno chiamava aree interne o terre dell’osso.
La teoria economica elaborò la storia dell’incapacità dell’agricoltura tradizionale di reggere il passo dello sviluppo e propose paradigmi che prevedevano l’espulsione massiccia della manodopera agricola per sostenere il reddito agricolo (sic).

Cominciò così, con la complicità  dei governi nazionali, l’abbandono delle campagne, la crisi delle colture mediterranee, lo sterminio della biodiversità in terra ed in mare e il monopolio delle colture intensive del centro nord Eurooa e, in Italia, della pianura padana. Le cattive pratiche legate all’uso di anticrittogamici e  insetticidi, il disuso della rotazione nelle colture  sostenuto da concimi chimici che drogavano la produzione della terra fecero il resto.

Oggi per la terribile legge del contrappasso, l’Unione Europea vieta i pesticidi e impone la rotazione dei terreni. Il governo nazionale , dal canto suo, accentua il carico fiscale sull’agricoltura. Unione Europea e Governo  Nazionale non sanno cosa fare. Non hanno un piano alternativo che accompagni gli agricoltori alla riduzione dei pesticidi ed alla reintroduzione della rotazione dei terreni con integrazione del reddito e/o riduzione del carico fiscale. Provate a chiedere quanto  costa l’irrigazione ad un coltivatore in termini di energia elettrica, di gasolio e di concessione per i pozzi,  ed a quanto ammontano  i carichi fiscali ed ancora, quanto incide la speculazione.

Vi renderete conto  della rabbia ed anche della disperazione della gente dei campi. L’Unione Europea risponde timidamente  ritirando  i provvedimenti sui pesticidi e sulle rotazioni. Il Governo Nazionale balbetta e si contraddice. É evidente che manca una visione del futuro per l’agricoltura. Una visione  che salvaguardi e valorizzi le specificità produttive mediterranee e meridionali. É su questo fronte che bisogna agire, approntando un grande piano dell’agricoltura mediterranea che deve essere garantita allo stesso modo in cui si garantisce l’agricoltura nordica. Insomma é finalmente tempo di scardinare l’idea stessa di agricoltura mansholtiana che da mezzo secolo domina  la politica europea distruggendo l’agricoltura mediterranea e meridionale che deve finalmente essere restituita  alla sua grande traduzione, accompagnandola con un piano di transizione  che le consenta di assorbire costi  e disastri che su di essa si sono accumulati in tutti questi decenni,  bloccando ed invertendo la deriva mansholtiana che l’ha sin qui travolta. 

 

4) L’antidoto
C’è un antidoto a tale deriva?
Si, se l’agricoltura sarà messa in condizione di ritrovare i fondamentali della sua arte e disciplina,  per giocare la sua partita come nello sport, qualsiasi sport ed in ogni attività, qualsiasi attività.
Ma per questo servono dei passaggi ineludibili:
A)Va rovesciato il Paradigma della teoria economica costruita sull’incapacità di produrre reddito dell’agricoltura tradizionale, bollata come arretrata: il termine tradizionale va associato alla  bontà dei profotti, al rispetto dei cicli della  terra e della natura, alla  biodiversità  ed a sistemi  di produzione che siano rispettosi di essa e della sua qualità.

B)Vanno contestualmente rilanciate le colture  della dieta mediterranea, della biodiversità, le sole che ad oggi salvaguardano la salute delle persone ed il pianeta, smentendo la vulgata che classifica l’agricoltura familiare e tradizionale come una attività di cui liberarsi con la scusa che essa non  garantisce redditi adeguati ai suoi addetti.

  1. C) L’Italia del dopo guerra è  stata certo modernizzata e resa grande dall’industria ma l’agricoltura familiare a Sud fu in  condizione di mandare a scuola i suoi figli e di modernizzare la società al pari dell’industria.  

Il guaio dell’agricoltura familiare fu che l’industria aveva bisogno di manodopera e l’agricoltura era il più grande bacino di manodopera.

Fu facile spostare braccianti e contadini  dai campi.

Stipendio fisso e un tetto sulla testa erano troppo allettanti e  invece che modernizzare l’agricoltura fu più conveniente e facile demonizzarla convincendo famiglie e addetti che era meglio abbandonare i campi e passare nelle fabbriche. La storiella  che le campagne non avevano bisogno di manodopera ma di  trattori e concimi fece il resto. Adesso è tempo di tornare indietro e restituire all’agricoltura mediterranea del Mezzogiorno quanto le é stato fraudolentemente sottratto a cominciare dalla  dignità.

  1. D) va restituita dignità e valore all’Agricoltura Familiare. La stessa  ONU raccomanda la diffusione dell’agricoltura familiare quale strumento di salvaguardia del pianeta ed occasione di crescita e di sviluppo delle aree in ritardo. 
    E) In tale prospettiva va approntato un sistema di supporto dell’agricoltura familiare, della dieta mediterranea e delle produzioni legate alla biodiversità, nella prospettiva dell’integrazione con la trasformazione di qualità e con i mercati, quelli veri fatti di domanda e offerta reale espressa dalla gente che compra  e dai produttori che vendono, non dalla speculazione che costringe a distruggere i prodotti.
  2. F) Il ritorno dei giovani all’agricoltura non solo è auspicabile ma necessario e possibile se si costruiscono le condizioni di sicurezza, garanzia, dignità, mercati per trasformare il comparto  in un settore all’avanguardia e dotato di forte attrazione.

G)Va da sé che va ripudiato il concetto e la pratica  mansholtiana-europea  dell’agricoltura intensiva riportando l’agricoltura alla  sua natura originaria sia con riferimento alle produzioni  ed ai metodi di coltivazione che alle dimensioni delle proprietà.
H) Vanno rivitalizzate le terre di mezzo restituendo ai borghi ed ai paesi dell’interno dignità e senso con adeguati servizi innovativi, di ricerca e di connessione alla rete digitale.
I) Vanno trasferiti nei castelli e nei borghi delle terre di mezzo pezzi dello Stato e delle Istituzioni orientati allo sviluppo  ed alla tutela della dieta mediterranea ( patrimonio  dell’UNESCO, da non dimenticare mai) della  biodiversità, all’integrazione produttiva e di mercato,  spostando professionalità e risorse che dovranno fungere da lievito e volano per far crescere l’agricoltura, attrarre giovani e far rinascere attività ad essa collaterali.
L) Va bloccata la politica di creazione delle foreste di pale eoliche e di lande fotovoltaiche sui territori delle terre di mezzo.  

5) L’alternativa
In alternativa non resta che la destinazione del Sud ad hub energetico con le foreste di pale eoliche e le lande fotovoltaiche al pisto dei pascoli e dei campi, che tanto piacciono  all’Europa  ed ai governi nostrani.

 

6) Il paradosso della fame nel mondo. 

Con sufficienza,  la propaganda dell’ipercapitalismo sospira che si, sarebbe bello il ritorno alla biodiversità, alla terra nella sua accezione primigenia, ma l’agricoltura familiare non può sfamare otto miliardi di persone.
In realtà tale risposta è alla base della  propaganda a favore della speculazione che arricchisce i potenti, i pochi potenti, ed affama, immiserisce tutti gli altri.
la propaganda confonde, volutamente, l’agricoltura familiare con l’agricoltura arretrata. In realtà la biodiversità oggi incrocia la ricerca della tutela e valorizzazione più avanzata proprio nel Mediterraneo. Essa va coniugata con visioni, strumenti e progetti di cooperazione con il mercato e con la trasformazione in grado di assicurare uno straordinario salto di valore.
La differenza tra agricoltura familiare e agricoltura intensiva sta nelle dimensioni dei terreni e, soprattutto, nell’uso indiscriminato di anticrittogamici, nella distruzione strategica e definitiva della risorsa idrica, nella standardizzazione delle sementi e delle cultivar in dispregio della natura e dell’uomo. La pratica intensiva di mansholtiana memoria sta distruggendo l’Amazzonia e l’Africa, laddove l’agricoltura familiare può salvare entrambe come  la stessa ONU sostiene e predica inascoltata.
Anche la teoria del consumismo industriale affermava che la globalizzazione avrebbe sconfitto la miseria nel mondo: il risultato é che la miseria é cresciuta a dismisura insieme a guerre e violenza sparse nell’intero pianeta.
Come il consumismo per l’industria, l’agricoltura  intensiva  avrebbe dovuto sfamare i miliardi di uomini: il risultato é la crescita della fame si è amplificata e con essa la diffusione della pratica di  distruzione dei prodotti agricoli ( per sostenere il mercato…sic), la distruzione della risorsa idrica e la disastrosa deforestazione mondiale.

La storia  della necessità di sfamare un’umanità sempre più numerosa é … appunto una menzogna costruita ad arte per sostenere un’agricoltura industrializzata ed intensiva, dimostratasi la peggiore nemica del pianeta: un kg di carne da allevamenti intensivi richiede dagli 11.000 ai 13.000 litri di acqua contro i 600/700 di un chilo di carne da allevamenti tradizionali. Non solo, essa impone continui disboscamenti e provoca la mattanza di foreste e di popolazioni indigene in Amazzonia ed in Africa.
Essa fa il paio con la storiella della globalizzazione dell’economia industrializzata che avrebbe dovuto eliminare la povertà nel mondo.
La fame, la miseria e le violenze, in uno con la speculazione e la aberrante concentrazione della ricchezza, sono cresciute in maniera esponenziale con la globalizzazione,  allo stesso modo della fame diffusasi  in maniera inverosimile con l’affermazione dell’agricoltura intensiva.

7) La deriva dell’ipercapitalismo.

L’ipercapitalismo che non conosce confini comprendendo oltre  al mondo occidentale anche  Russia e Cina, con buona pace di Mao Tze Tung e Lenin,  oltre che i Paesi Arabi, ha trasformato il mondo in adoratore del consumismo elevato a nuovo leviatano dell’umanità che impone pensieri unici oltre a violenze e sanguinari sacrifici.

8) Conclusione
C’è il peccato originale da rimuovere alla base del  tracollo dell’agricoltura meridionale che è assai diversa da quella padana e centro-nord europea. Il ritorno alla agricoltura familiare è fondamentale in questa prospettiva per ridare un futuro all’agricoltura meridionale e per salvaguardare il futuro oltre che il presente del  Mediterraneo.

Ma per questo è necessario che le persone ed i popoli  tornino padroni dei loro pensieri, riscoprano la bellezza della natura e rifiutino di continuare a offrire i loro consumi  senza limite e misura sull’altare del leviatano ipercapitalistico, il mostro che sta divorando la nostra società.

Antonio Corvino
Antonio Corvino