Il terremoto del 23 novembre del 1980 che colpi la Basilicata e la Campania fu per molto tempo  al centro delle cronache  dei media di tutto il mondo. Anche il Premio Dorso con la segnalazione di studiosi stranieri che si erano interessati attraverso ricerche e studi al terremoto e la rivista Politica meridionalista dedicarono molta attenzione ai tragici eventi, in particolare ricordiamo che il prof. Rocco Caporale, docente di sociologia alla St. John’s University di New York (Premio Dorso 1983) realizzò una ricerca sulla ricostruzione in Irpinia-Basilicata (finanziata dalla National Science Foundation e dall’IRI) dove vennero esaminate luci ed ombre di quegli anni. Nel 1990, il prof. Caporale fu invitato a tenere una relazione dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla ricostruzione post-terremoto. Anche Politica meridionalista dedicò al tragico evento articoli e servizi di cui vi proponiamo quello scritto dal direttore della rivista, Nicola Squitieri, nel novembre del 1981 ad un anno dal terremoto, con alcune considerazioni che risultano ancora di viva attualità.

Il terremoto un anno dopo

di Nicola Squitieri

C’erano due modi per ricordare il primo anniversario di quella tragica sera del 23 novembre di un anno fa: il primo era quello di pubblicare ampi servizi con interviste, inchieste e dati statistici di ogni genere; il secondo, invece, quello di affidare alle « nostre » emozioni ed alle « no­stre » considerazioni il ricordo di quella drammatica notte che ha cambiato  il  volto  di  due regioni del Mezzogiorno. Questa seconda strada ci è parsa la più autentica e la più vicina a noi stessi e l’abbiamo perciò scelta, proponendola ai lettori  di  « Politica Meridionalista».

L’esperienza vissuta durante quella terribile domenica di fine novembre dello scorso anno, vede intrecciarsi e confondersi, in un continuo alternarsi di sentimenti ed emozioni, il cronista e l’uomo nato e vissuto nelle terre martoriate dal sisma. Il dolore, l’amarezza, i ricordi si sovrappongono così al triste  compito della fredda cronaca di un avvenimento  doloroso  come  tanti  altri forse  già vissuto. La partecipazione umana al drammatico susseguirsi degli eventi è stata perciò certamente tanto più intensa quanto più pressante si faceva il richiamo alla  terra  di origine.

Ecco così che i morti, le macerie, le case sventrate di S. Angelo dei Lombardi, di Lioni, di Teora e di tanti  altri  comuni  della  Irpinia   e del Salernitano sono diventati di colpo  parte  integrante  di  un  dolore che  colpisce  chi  ha  conosciuto ed amato questi paesi. Difficilmente si potrà cancellare dalla memoria il ricordo di quelle interminabili  ore   vissute   a  Napoli la sera del 23 novembre: di quei lunghissimi 90 secondi, segnati soltanto  da  una  enorme  e  indescrivibile sensazione del dramma che si stava compiendo e  delle  sue  immani dimensioni che avrebbero certamente  per  sempre  cancellato  i luoghi più cari legati ai ricordi della prima  giovinezza;  allo  sgomento  ed all’ angoscia  per  l’assenza  prolungata  di  notizie  attendibili  sulla  esatta localizzazione   dell’epicentro   del  sisma,  sul   numero   dei   morti   e   dei feriti  e sulla  reale  entità  dei  danni.

E  poi  lo spettacolo, per  così  dire «dal vivo», della popolazione riversata nelle strade e nelle piazze, nel caos  più  indescrivibile  ed  in preda ad  un crescente  panico  è quindi  il silenzio,   quel   sinistro   silenzio   di morte,  che  accompagnerà  i  giorni seguenti  al  terremoto  e ,stravolgerà per   sempre   il   volto   di   una   città che, pur  tra mille difficoltà,  ma con grande   dignità,  tentava  di  recuperare   un  suo   ruolo  attraverso   una lotta  disperata  contro  mali  antichi. Dal  dolore  e  dalle  emozioni  vissute per  la propria  città ferita  mortalmente   dal   sisma,  il   ricordo   si allarga   all’immagine   dei  paesi   distrutti  delle zone  interne della Campania   in  un  rapido   susseguirsi   di amare  sensazioni. Due di queste, in particolare, rimarranno a lungo  nella  memoria di chi  ha  vissuto  in prima  persona il dramma del 23 novembre: l’immagine della paura e della disperazione  impressa sul volto dei  sopravvissuti, letta in una chiave  tutta particolare, e la straordinaria testimonianza   di  umana solidarietà offerta  dall’opera  prestata,  in un unico  generoso  slancio,  dai  volontari  subito  accorsi  da  tutta  Italia.

Elementi  questi  che  hanno  dato vita,  in  più   di  un  meridionale,  a quei motivi di speranza e di fiducia per la rinascita e la ricostruzione di queste zone  così  care. Un’ultima amara sensazione che resta in chi ha provato più da  vicino questa tragica esperienza nella duplice  tormentata  veste  di   cronista e figlio  di queste terre: i paesi travolti dalla furia della natura, non potranno mai più ritornare  ad  essere come ognuno di noi li aveva disegnati nella mente, ma  soprattutto nel cuore, con quella cultura fatta di antiche e, forse per taluni aspetti, di irripetibili dignità e tradizioni.

Nicola Squitieri

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